XXVI Premio Firenze 2008


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Claudio Alvigini

letteratura > premiati letteraura

SEZIONE E - RACCONTO INEDITO

FIORINO D'ORO
CLAUDIO ALVIGINI

per

"CINQUE MISSIONI"


con la seguente motivazione:


Romantica ed intrigante ricostruzione dell'ultimo periodo della vita del famoso aviatore-scrittore Saint-Exupéry. Il racconto malinconicamente avvincente, si impone per il linguaggio asciutto ed aderente al reale che trascina il lettore verso un sentimento di naturale empatia nei confronti del protagonista, eroe di un tempo che fu, incapace di rassegnarsi ad un destino che lo vorrebbe adesso mera comparsa.


CINQUE MISSIONI


Cadde a terra a Casablanca, Saint-Ex. Era l'alba del 5 Dicembre, venerdì.
Era la prima volta.
Così almeno credevano gli amici in compagnia dei quali rincasava dopo una notte di sigarette, giochi di prestigio con le carte sui tavoli del "Malrodor" e buon cognac. Era la quinta, considerò in silenzio, Saint Ex risvegliandosi.
Le altre quattro era completamente solo e in fondo, nemmeno così ubriaco.
Che diavolo stava accadendo? E perché proprio a lui? Ad un tratto la luce si spegneva, buio profondo allora e assenza del corpo che, senza peso, prendeva a levitare leggero nell'aria. Il piede non trovava più terreno
e Saint-Ex, annaspando e sgambettando affannosamente, precipitava angosciato nel nero. E ricordi poi, nessuno.
Trascorse un giorno intero a letto l'aviatore-scrittor, un po' a smaltire la sbornia e l'angoscia della caduta e un po' a recuperare le forze perdute.
La mattina del sabato si alzò assai presto e tremante mise piede nella veranda piena di piante e di luce della sua casa africana.
L'atmosfera velata e bella della città e quella nebbiolina sottile che arretrava a vista d'occhio dinanzi al rapido montare del sole, gli scaldarono il cuore.
Si fece coraggio allora, si sforzò di dimenticare, cancellare quella brutta storia. Si rasò con cura, meticolosamente poi, pallidissimo e vagamente a
disagio nell'uniforme che indossava solo di rado, si recò al Quartier Generale della base aerea di Cape Codì.
Non era un giorno come gli altri.
L'esito favorevole delle ultime visite mediche, Saint-Ex lo doveva al suo
vecchio amico e compagno di bevute Bruòn, il burbero e carissimo dottor
Bruòn, uomo dal cuore d'oro e dalla condivisa passione per il volo e il cognac d'annata. Aviatore egli stesso in gioventù e uomo in disarmo in quel lembo di territorio africano, si era prestato,brontolando solo un po',a "limare" qua e la i dati critici delle analisi dell'amico. Superato così quel primo, fondamentale scoglio e riconquistata, almeno nella lontana Casablanca, l'idoneità al volo, le chances di Saint-Ex di tornare per davvero a vedere le nuvole dall'alto, dipendevano adesso dal valore che il
Comando Interforze di Parigi e il suo Capo, il temuto generale Gulmàt, avrebbero dato a quel giudizio; prenderne atto ratificandolo, e confermare così l'idoneità certificata da Bruòn, o rigettarlo e chiedere nuovi esami da svolgersi, questa volta, nella capitale.
Ecco allora che l'appuntamento fissatogli per le 11 dal capo della Cancelleria, colonnello Rivière, con il generale Douhèt, assumeva una
importanza pari, se non superiore a quello, collocato nel futuro e dunque incerto, con Gulmàt a Parigi.
Nella Capitale Saint-Ex poteva contare solo sull'appoggio di quei pochi amici che, a vario titolo, esercitavano ancora qualche influenza sull'Esecutivo e di un piccolo quanto combattivo gruppo di politici che, da quel ritorno al volo, avrebbe tratto vantaggio.
Senza considerare poi che il Presidente, quell'uomo alto come e più di lui, certamente non lo amava e dalla maggior parte degli ufficiali dello Stato
Maggiore era visto come il fumo negli occhi.
Ma, vacci piano amico mio! -si ammoni Saint-Ex- una cosa alla volta.

Rivière e Douhèt, ultimi sinceri ancorché discreti amici su cui poteva fare
affidamento tra gli alti gradi, paventavano il cuor loro l'eventuale giudizio
favorevole di Parigi e il conseguente ritorno al volo del loro malinconico
amico, quanto e più dell'esagerata quantità di cognac che lo vedevano consumare la sera al "Malrodor".
Rivière lo ricevette alle 10 e 45. S'informò ancora, seppur brevemente,del
suo stato di salute poi, in un estremo tentativo di scongiurare quella che considerava una vera follia, chiese per l'ennesima volta all'amico se era ancora così fermo nella decisione presa o se, per caso, non pensava di essere più utile al Paese sfruttando il suo talento letterario e la sua fama di
aviatore. Infine, vista l'inutilità di quei suoi ultimi sforzi, alle 11 in punto lo introdusse rassegnato nell'ufficio di Douhèt.
Questi, prima ancora che Rivière lasciasse la stanza, e come profondamente stizzito, comunicò seccamente a Saint-Ex, la tanto attesa
notizia: "Idoneo"!. A Parigi avrebbe ricevuto più dettagliate quanto precise
istruzioni, ma intanto una cosa già da quel momento poteva dirgliela: non solo avrebbe volato di nuovo, ma addirittura sul nuovissimo P-38 americano!

Nonostante l'età e gli acciacchi (sforava abbondantemente, con i suoi quarant'anni, il limite di trentadue imposto dagli alleati sul nuovo velivolo) avrebbe preso parte al conflitto e combattuto ancora per la Sua
Francia. D'un tratto Saint-Ex si senti leggero come una farfalla.
Confuso e incredulo, ringraziò farfugliando il superiore il quale, dal
Canto suo e nonostante regolamenti militari davvero non lo prevedessero,
non si sottrasse più di tanto al suo goffo tentativo di abbraccio e lo congedò poi rapidamente, colpito più dalla personale commozione che
dall'impaccio dell'onore dalla faccia del bambino vecchio che gli stava davanti.
E ora: - si disse Saint-Ex uscendo al galoppo dal Quartier Generale - a Parigi!
La sera, come in preda ad una sottile febbre d'esaltazione, volle festeggiare il buon esito dell'incontro con Douhèt e congedarsi dai numerosi amici alla base. Fece così il giro delle abitazioni per gli ufficiali sposati e quello dei locali notturni per gli scapoli. In breve, e ancor
prima della mezzanotte, era nuovamente ubriaco.

La mattina dopo, le ossa rigide e pesanti come la pietra, la bocca impastata
e amara, apri gli occhi nella luce dorata che filtrava dai vetri della minuscola terrazza di Lucine, la bellissima mulatta, reginetta del "Malrodor", che in quei mesi, proprio come Rivière e Douhèt, ma usando
armi ben più efficaci e micidiali, aveva cercato di tenerlo lontano dalla
sua fissazione. Sconfitta come gli altri nei suoi tentativi di scongiurare
un'eventualità che anche lei considerava una vera e propria sciagura,
si era dovuta infine accontentare solo di averlo con sé per quella che,
n'era certa, sarebbe stata la loro ultima notte.
Sulla terrazza di Lucine, mentre il petto gli si apriva di nuovo come voler
respirare e prendere tutto l'orizzonte, Saint-Ex aveva sentito la vita
tornare e il sangue, alla faccia di tutte le sbornie, scorrere nuovamente
dolce e forte nel corpo. Depressione e cadute nel buio sembravano così lontane! Dimenticate addirittura; quasi non riguardassero più lui ma un altro. Era arrivato ad un tal punto d'esaltazione e benessere che per un attimo aveva considerato addirittura la possibilità di….smettere di bere!
Poi verso mezzogiorno, lasciata Lucine in lacrime, Saint-Ex si trasferì
di corsa a casa. C'erano i bagagli da preparare. Di li a poche ore, infatti, il volo 555 dell'Air France, lo avrebbe portato, via Barcellona a Parigi.

Così Saint-Ex lasciava la sua Africa, cosi andava incontro al suo destino; felice come mai gli era capitato di essere negli ultimi anni.

A Parigi, un colpo tremendo: "Cinque voli Maggiore Saint Ex! Cinque missioni!" Sentenziò seccamente Gulmàt, scandendo ad una ad una le parole che, come sassi, caddero sul lucente pavimento di marmo rimbalzando sonoramente rotolando poi piano piano fino ai piedi di
Saint-Ex che, annichilito, chinò istintivamente il capo ad osservarsi la punta delle scarpe.
La luce soffusa che filtrava dalle tende dell'immensa finestra dalla quale,
dandogli le spalle Gulmàt, dritto e immobile gli parlava, avvolgeva l'alto
militare di un'aura trasparente illuminandogli il capo e conferendo alla sua figura un che di solenne, ieratico; freddo angelo vendicatore. Al vecchio
e rigido soldato che riconosceva dignità e valore d'arma sola alla Fanteria,
quel tipo così fuori degli schemi, quell'aviatore, non era mai andato a genio. Non ne tollerava la fama e gli invidiava poi sommamente quello scrivere che peraltro, in pubblico, sosteneva essere di totale sciocchezza,
attività di nessuna utilità per il Paese e forse, addirittura dannosa. Senza
contare poi che non meno lo infastidiva (forse anche di più) il tanto,troppo
successo che Saint-Ex riscuoteva ancora presso il pubblico femminile.
Tutti quei giovani cuori che battevano per lui! Un aviatore, un soldato come quello, era un vero pericolo - considerò ancora una volta tra sé e sé
il generale - uno che invece di stare attento e concentrato nelle manovre,
scriveva strane storie e che, inaudito! sosteneva di farlo, qualche volta, addirittura in volo. Esempio disdicevole e da biasimare, egli andava com-
battuto; e con ogni mezzo.
Ma tant'è, il vecchio militare dovette comunque, e almeno in parte, fare
buon viso a cattivo gioco. Saint-Ex, a dispetto anche e soprattutto di se
stesso, era ancora un eroe popolare e non era certo possibile ignorare del
tutto la pressione esercitata a sostegno della sua causa, da quel gruppetto
di parlamentari e da una piccola ma significativa parte della stampa.
Ciononostante, anche su una vicenda che per la prima volta sembrava sottrarsi al suo controllo. Gulmàt riuscì ad apporre il proprio marchio. Il sigillo. Aggiunse infatti di suo pugno, all'autorizzazione presidenziale,
una piccola quanto trascurabile ed apparentemente insignificante clausola:
Un limite che era nella sua facoltà di porre e che si affrettò con gioia a porre: cinque missioni.


Saint-Ex aveva solo quarant'anni, era pieno d'acciacchi e di gloriose ferite
e spesso il solo issarsi bordo e sistemarsi ai comandi era una tortura. Poi
però imbracato e costretto al sedile dalle cinghie robuste, mentre dava potenza e correva sul prato per staccarsi sobbalzando da terra, si lasciava
andare ad un allegrezza genuina e rideva come un bambino abbandonandosi all'assurdo baccano del motore come ad una magnifica
musica.
Una volta in volo poi, la sua capacità di lavoro e resistenza alla fatica e al sonno, erano addirittura leggendarie.

"Cinque missioni" ripeté inebetito e incapace di sollevare lo sguardo da terra.
Il colpo in pieno petto lo fece barcollare e Saint-Ex si trovò, senza accorgersene, ad arretrare. Quelle parole frantumavano in un solo attimo le
gioia e il benessere recuperati con tanta fatica.
La vita dunque tornava, è vero, ma solo per consegnarlo alla più inaspettata delle beffe: cinque missioni.
Non era più l'orizzonte che qualche giorno prima si era riaperto sul mare di Casablanca, non era il sangue che era tornato a scorrere rapido nel corpo
facendolo sentire giovane e desideroso di respirare a pieni polmoni l'aria del mattino. Era solo e semplicemente la fine, quella fine che conosceva così bene e che gli camminava accanto da tanto, troppo tempo. E che per un attimo, su quella terrazza di Casablanca, non gli era sembrata poi, così
ineluttabile. Ma, cinque missioni. E poi? E allora? Si domando Saint-Ex mentre sulle sue spalle scendeva, lentamente ma inesorabilmente, un peso
immenso. Il sapore amaro della depressione gli impastò la bocca e le gambe, che poco prima avevano volato sfiorando appena le grandi scale del Comando Generale, divennero di piombo, si mossero lente, a fatica. Poi, senza rendersene conto: "Cinque cadute" mormorò,"Cinque Missioni"
Eppure di quelle cadute improvvise nessuno sapeva! O meglio,perlomeno
Quattro di esser erano note solo a lui. E allora perché proprio quel numero?

Tramortito Saint-Ex si trascinò fino al solito caffè, trovò qualche vecchio amico che non mancò di canzonarlo perché non l'aveva mai visto prima in
uniforme e si sarebbe di certo messo a piangere se non si fosse ubriacato prima. Bevve con ferocia, con metodo, con ostinazione: si annientò.
Dovettero portarlo vi di peso Mermòz e Guilaumet, i fedelissimi, gli amici di sempre e di una vita i quali, una volta giunti a casa, preoccupati per le condizioni del'amico, chiamarono un ambulanza che, nonostante le sue confuse e disordinate proteste, lo trasferì rapidamente in ospedale dove fu immediatamente ricovera e sottoposto alle cure del caso.
Per quattro giorni Saint-Ex giacque a letto come morto. Poi all'alba del
Quinto, alzatosi all'improvviso, salutò tutti e barcollando abbandonò l'ospedale, incurante degli strilli e delle proteste dei medici che non volevano sapere di dimetterlo e degli amici che lo invitavano alla prudenza.
Ma era atteso ad Ajaccio cinque giorni dopo e le la notizia del suo malore e del conseguente ricovero fosse giunta all'orecchio delle autorità militari o peggio, fosse divenuta di dominio pubblico, anche quelle misere cinque
missioni (delle quali peraltro era l'unico a sapere) sarebbero evaporate come la nebbia del mattino a Casablanca.
Consuelo, (per fortuna! Considerò tra sé e se Saint-Ex") era in Sud America dalla famiglia e Lady Galverstone in Olanda per certi suoi affari.
Non dover salutare nessuna delle sue amiche, ma solo i carissimi Mermòz e Guillaumet, gli facilitò non poco la partenza.
Così venerdì cinque gennaio, alle cinque di sera, l'aereo dello Stato maggiore con il ministro della guerra a bordo, decollo da Le Buorget con
destinazione Ajaccio.
Il potente politico, durante il volo, volle parlargli. Conosceva Saint-Ex solo di fama e di fronte a quell'individuo altissimo e pallidissimo che rispondeva a monosillabi alle sue domande e non faceva nulla per dissimulare fastidio e noia, rimase assai interdetto e alquanto piccato.
Ma fece anche lui buon viso a cattivo gioco; si trattava pur sempre di Saint-Ex, l'eroe della Patagonia, il trasvolatore delle Ande, l'autore di libri d'incredibile successo. Certi atteggiamenti gli erano ancora consentiti.
Giù a terra intanto, nella nuovissima base aerea di Ajaccio, tra i giovani aviatori, da quando si era sparsa la notizia del suo arrivo, c'era grandissimo fermento e incontenibile entusiasmo. Saint-Ex, la leggenda
vivente, avrebbe camminato tra loro e ….imparato da loro!

E Saint-Ex camminò fra loro e imparò da loro, sottoponendosi, come l'ultimo degli allievi, a tutte le prove cui un troppo zelante e perfetto sottotenentino lo sottopose (si seppe poi che era stato lo stesso Gulmàt a designarlo quale sue istruttore),con l'intento, neanche troppo nascosto, di umiliarlo. Ma il pur depresso e pallido lungagnone ne venne in qualche modo fuori. L'istinto ebbe ancora una volta la meglio sui numeri, tavole e grafici, su regolamenti e pagine di manuali. Pilotò il P-38 con insolita di-
ligenza cura e attenzione, tenne a bada la sua leggendaria distrazione e su-
però regolarmente tutte le prove previste per il decollo. E nel tempo stabilito. Giunse così il giorno del suo primo volo da solista, senza istruttore dietro alle spalle. Saint-Ex dunque tornava ad arrampicarsi su-
gli alti muri del mondo, più su di quanto mai avesse fatto prima, inebriato
dalle insolite, spettacolari visioni che le prestazioni della nuovissima macchina gli consentivano.
E giunse anche il giorno della sua prima missione operativa. Sorvolare
il territorio a sud di Lione, sfuggire ai caccia tedeschi e fotografare obbiettivi strategici; rientrare poi con il carburante residuo prima del tramonto.
Nessuno, nemmeno il comandante della base, sapeva del limite imposto da
Gulmàt a Saint-Ex il quale, incastrato nel posto di pilotaggio, avvicinandosi alla pista, si guardò triste la mano avvolta nel nero guantone di volo. E le cinque dita che, senza sapere perché teneva dritte e stese davanti agli occhialoni. Conclusa la prima missione, trotterellando verso l'hangar n° 5, apri ancora il palmo delle mano e stese nuovamente le dita.
Poi, ripiegato il pollice,fissò sconsolato le quattro dita rimanenti. "Meno una!" pensò. Ancora quattro. E poi tre e poi due e poi…..

E poi venne il giorno dell'ultima missione. Il giorno dell'ultimo volo del
gigante malinconico.
Saint-Ex parti con il suo segreto e sorvolò in silenzio il mare, lo sguardo fisso davanti a sé. E non fece ritorno. Sparì portando con sé la mutilazione di Gulmàt, il piccolo limite, cinque missioni. Non fece ritorno, e non fu abbattuto. Anche il mignolo si ripiegò lentamente sul palmo della mano, le
missioni finivano. E il cielo sul mare di Nizza era dolce e bellissimo.


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