COME L’ARABA
FENICE
Quello
che resta del giorno che declina
e
indifferente assiste ad altre
oscure
morti
è
questa ostinata mia chimera
rosa
porpora e oro
tremula
e
incerta
se fiorire ancora o
per
sempre appassire.
Quello
che resta
di
questo giorno dissacrato
è
il turpe scempio
che
consuma Achille ancora
ancora
e ancora
(rappresi
in grumi urlano i sogni
e
il corpo di Ettore sparso
sopra
la terra!).
Quello
che resta ormai
di
questo giorno acuminato
è
il livido sudario
che
avvolge in una sola notte
il
canto la luce la memoria
(riccioli
di seta chiuse labbra
spenti
sorrisi abbracci inconsumati).
Cenere
è la colomba
reliquia
inaccessibile
sepolta
tra le antiche pietre
delle
città perdute.
Dispersa
messaggera
dell’iride
e del grano
segreta
immemore compagna
del
mio tempo martoriato
scampata
alfine
alla
dimenticanza e al buio
tu
possa
come
l’Araba Fenice
(tenacemente
ricordando il sole)
sopra
terre redente e indivisibili
nuovamente
rinascere e volare.