XXXII Premio Firenze


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Umberto Vicaretti

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SEZIONE B - POESIA INEDITA

MEDAGLIA DI BRONZO
UMBERTO VICARETTI

per la poesia inedita

ANTINOMIA DEL FUOCO

con la seguente motivazione:


Una doppia poesia in una. Due poesie che si pongono in rapporto dialettico e antitetico nel tentativo di rinnovare l'eterna ed ancestrale devozione timorosa che ha l'uomo nei confronti degli elementi, e tra questi il fuoco: quello che si presta per eccellenza ad una interpretazione dei suoi effetti in chiave metaforica. Il linguaggio erudito e la ricercatezza lessicale sono il trait d'union tra i due componimenti, che finiscono per l'omogeneità stilistica per essere sintesi e non più antitesi della tematica iniziale.


La Giuria del Premio Firenze

ANTINOMIA DEL FUOCO

1 - Bruciano ancora

Ho attraversato questa terra come
un Cristo senza il lampo dei prodigi
né mappe per le rotte di luce.
Solo le croci, tutte, le ho portate
(sfogliavo appena l'alba e l'orologio
aveva ormai già tutto dissipato,
in un istante in cui s'eterna il Male,
il tempo d'Hiroshima e Nagasaki,
fermo il silicio in tutte le clessidre).

Ho attraversato questa terra mentre
da remote stazioni d'abbandono
interminato e flebile saliva,
sommesso un coro di anime smarrite:
Bergen-Belsen, Sant'Anna di Stazzema,
My Lai, Beslan, deserto di Srebrenica…

Qui sono stato un giorno a ricomporre
palpitanti coriandoli di cuori
e le disperse fibre dei bambini,
confuse insieme al fumo dei camini,
in viaggio verso le costellazioni.
(di Anna non rimase che un saluto,
superstiti soltanto le parole).

A quelle croci, all'utopia di pace
chiedemmo immeritate redenzioni
giurando con la mano sopra al cuore.
Credemmo rifiorito il sogno.
Eppure
bruciano ancora Gerico e New York.


II - Nel rogo da ardere

Ho attraversato questa terra quando
la sera era un approdo di dolcezze
scampate alla congiura degl' inganni;
e buona, tra gli alari dei camini,
ardeva inesauribile una fiamma
febbrile al ciocco vivo degli abbracci.

Ora che l'equinozio di settembre
declina già la luce verso l'erba,
lasciatemi per dono, ve ne prego,
di questa terra esausta un palmo indenne
dal grido della porpora e del fuoco:
ho smarrito la cetra e più non ho
né luminosi accordi,né parole
d'ambra per mitigare le ferite.


Ho cantato la fiamma che non cede
al volgere dei cosmi, alle stagioni:
quella che al passo trepido dei Lari
tremula nell'approdo ci precede;
e l'altra che tenace ancora accende
falò inestinguibili nel cuore
(fiorisce ad ogni bacio la mia rosa!).

Lasciatemi così
nel rogo da ardere,
fiamma che brucia ma che non fa male,
incendio che gentile mi consuma.
, .



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