LA LINGUA ORIGINARIA
Giovanni
Semerano
Con il recupero delle grandi
civiltà del vicino Oriente, di Sumer, di Akkad, di Ebla, si apre un vasto
quadro di riferimento storico, un varco agevole che guida alle origini delle
nostre civiltà di Occidente.
L'antica lingua accadica, alla quale fanno capo l'assiro e il babilonese, offre
oggi, con il suo inesauribile tesoro lessicale, solide basi storiche per
testimoniare le fasi di sviluppo delle lingue indoeuropee. La ricostruzione
congetturale di una lingua originaria, quale l'indoeuropeo, perseguita nel
passato, oggi appare solo un eroico tentativo al quale mancò il supporto della
storia. La certezza dei legami che ci stringono ai popoli antichi del vicino
Oriente e l'aver ritrovato nelle lingue di ceppo semitico i segreti delle nostre
reali origini culturali, offrono a queste ricerche infinite testimonianze di
lontana fratellanza, ben più certe della teoria, che stenta a morire, che
scindeva genti arie e stirpi semitiche.
Nessuna risposta avrebbe potuto offrire la vecchia teoria indoeuropea a chi nel
passato si fosse chiesto: che significato originario hanno nomi di terre, di
continenti, di popoli, di fiumi, di monti: Europa, Asia, Italia, Britannia,
Alpi, Po? Oggi sappiamo con certezza, grazie alle innumerevoli attestazioni
della antichissima lingua, che è nel nostro costante quadro di riferimento, la
lingua accadica, che il nome Europa denota l'occidente; Asia,
l'oriente; Italia, quello che dice il nome greco Hesperia, la
terra, anch'essa, dell'ovest; Britannia, terra circondata dal mare; il
nome Alpi rivela la loro arcana essenza in una voce accadica che
significa "ghiaccio", montagne nevose; Po, latino Padus,
corrisponde alla voce accadica patu, col valore di fiume.
Qualcuno potrebbe chiedere: quali sono i modi e le vie di penetrazione culturale
del vicino Oriente in Europa?
Non sono trascorsi molti anni da quando in Sardegna, nelle vicinanze di Sassari,
sul monte d'Accoddi, fu scoperta una torre templare, una Ziqqurat, che è
tipico segno delle religioni e delle civiltà mesopotamiche.
Qualche archeologo rifiutò di prestare fede a una tale testimonianza. In
seguito, vi fu un incontro a livello di seri studiosi di antichità e fra essi
il prof. Gulini, benemerito di scavi e di ritrovamenti in Mesopotamia; egli
persuase a meditare che, verso la metà del terzo millennio a. C., il grande
monarca Sargon, fondatore della dinastia di Akkad, dopo numerose conquiste
territoriali, raggiunge il Mediterraneo, dove, egli dice, lava le sue armi. In
una stele antica Sargon si presenta ai posteri: «Sono
Sargon ... non conobbi mio padre, mia madre era una sacerdotessa, mi concepì,
mi dette alla luce, mi collocò in un cesto che spalmò di pece, mi depose sul
fiume che non mi sommerse, che mi sospinse fino all'innaffiatore Aqqi, che mi
allevò etc.».
Sembra evocare la storia di un millennio e mezzo dopo, quella di Mosè, ma quel
che ci preme, la leggenda di Romolo e Remo.
Quel nome Sargon lo ritroviamo nel nome etrusco Tarcon, Tarconte, col
significato di: alta autorità, come ritroviamo il nome di Cesare in Kaiser e in
Zar. Nella antica lingua accadica Sargon suona Sharrukìnu, che
significa: re legittimo, e quel nome lo ritroviamo nel latino Tarquinius.
Quella lingua, dunque, è preziosa rivelazione delle più grandi civiltà del
lontano passato, delle loro scienze, delle loro arti, in particolare la musica,
la matematica, l'astronomia, e sentiamo ora quanto, nelle sue origini, la civiltà
greca sia debitrice a quegli antichi popoli dei quali nel secolo scorso, ben
poco era dato conoscere. La documentazione ampia dei segreti e delle rivelazioni
delle nostre origini, a livello linguistico, lessicale, è data nel mio recente
volume apparso in Firenze: esso comprende tre dizionari etimologici su basi
completamente nuove: un dizionario etimologico della lingua greca, un dizionario
etimologico del latino e uno delle voci moderne. Fra molte migliaia di voci è
opportuno offrire qualche esempio. Quale è l'origine della parola mano, dal
latino manus? I dizionari etimologici tradizionali non danno risposta, ma
l'antica lingua mesopotamica ci soccorre con la parola manû, che
significa contare, calcolare: e la mano è infatti lo strumento naturale del
calcolo per indigitazione: e ad essa risale il computo nel sistema decimale. E
non basta: a quell'antichissima parola risale l'origine del nome della luna:
nell'antico sassone mano e così nell'antico alto tedesco, nel gotico mena,
nell'inglese moon, nel greco mene, sempre la luna che con le sue
fasi offrì agli antichi il sistema del computo dei giorni. Si pensi alla grande
importanza che gli antichi davano al nostro satellite, auspice dei cicli
biologici, i nove mesi dello sviluppo nella gestazione. E come strumento del
computo, cioè del calcolo, la voce manû dette origine alla parola mens:
la mente e al nome del latino mensis: il mese. E potremmo continuare con
una infinità di altri esempi, con la stessa evidenza che manca nei vecchi
dizionari etimologici delle lingue cosidette indoeuropee. Con questi strumenti,
che si fondano invece per lo più su radici di parole, ci si aggira nel vago
delle ipotesi. Se cercate per esempio in quei dizionari l'origine della parola razza,
non la troverete. Si scoprì che l'antico francese haraz significa:
allevamento di cavalli, ma haraz quale origine ha? La risposta che oggi
possiamo dare, con certezza, è in quella antichissima lingua madre, ove
ritroviamo Harsha, che denota: allevamento di cavalli ed è
originariamente un aggettivo sostantivato, del nome di una città Harshû.
Anche l'etrusco è investito di improvvisa luce da queste ricerche. Ad esempio
molti toponimi che risalgono a influenza etrusca hanno una terminazione in -enna.
Sono località affacciate a corsi di acqua, nella nostra lingua accadica enu
significa sorgente, in semitico 'ain.
Il nome etnico etrusco, Rasenna, che ha il senso di Tirreno, lascia
pensare alla terra dei lucumoni, dei capi: alle dodici città confederate
etrusche. Rasenna è di tipica origine mediorientale: in accadico rasu
significa capo. Lo stesso significato ha il nome Tirreno, in greco Tyrsenos,
che nella antichissima lingua mesopotamica torna come turtennu: la s del
greco tyrseos corrisponde, per il fenomeno di assibilazione a t
originaria. Il nome etrusco clan, che significa figlio, ha la stessa
origine del nome latino cliens: il cliente, il piccolo rispetto al
patrone. Nessuno avrebbe immaginato che clan: il figlio, l'inferiore, sia
corrispondente al latino calo, con gli stessi significati; e nessuno poté
accostare queste voci, latina e etrusca, all'accadico qalum, l'inferiore,
il piccolo. Al latino calo, calonis risale il napoletano guaglione.
Per restare all'etrusco, si sono scritte infinite pagine sul personaggio phersu
della tomba degli auguri, in Tarquinia, e si è pensato che dovesse
significare: maschera, in una ipotizzata rappresentazione teatrale: come se gli
etruschi, nel sesto secolo a. C. potessero vantare un teatro. Non si era capito
che il personaggio armato di clava, nello stesso dipinto, era Ercole e che il
cane minaccioso accanto era il cane dell'Averno, Cerbero. Il segreto per
decriptare il significato della scena è in Omero, dove si accenna alla discesa
di Ercole all'Ade, per portar via l'odioso cane, simbolo di morte: e la scena è
il trionfo sulla morte, che il semidio Ercole celebra anche nel dramma greco, di
Euripide, l'Alcesti.
L'esigenza scientifica di tale nuova linguistica è andata sempre più
dilatandosi da quando, in un lungo articolo sul londinese "The Guardian",
il 15 dicembre 1979, George Armstrong scrisse (riferendo la testimonianza di un
grande studioso di antichità, Aldo Neppi Modona) che la nostra nuova visione
storica era destinata a costituire una benefica rivoluzione culturale che, più
di cinquant'anni prima, avrebbe potuto evitare il frutto di una fatale
ignoranza, le leggi razziali.
Queste pagine sono state realizzate con il contributo di