LA DONNA ETRUSCA, LA GRANDE DEA
Le civiltà matriarcali, dove il
principio femminile fu massimamente celebrato nel culto e nei costumi, ebbero
grande diffusione nell’età del Bronzo e coincisero con il diffondersi dei
culti misterici e con la nascita del ceppo etrusco.
L’importanza del femminile nella società etrusca e’un dato acquisito.
Nella storia della nostra penisola
la civiltà etrusca fu l’ultima che permise alle donne l’accesso al mondo
della religione e del culto,
conferendo loro anche la massima autorità spirituale nella gerarchia riposta al
culto.
La donna etrusca potè godere di libertà e considerazione
grazie ad una posizione
giuridica che consentiva dignità e autonomia pressoché pari a quella
dell’uomo. Essa infatti veniva indicata con il nome rigorosamente vietato
nella formula onomastica latina ed il cognome come si usa fare oggi, conservava
il cognome della famiglia di provenienza anche dopo il matrimonio. Nella formula
onomastica spesso i figli portavano oltre al nome del padre anche quello della
madre.
Uno dei tanti esempi ne è l’epitaffio della tomba dei Partuni a Tarquinia.
Le era consentito di sedersi alla destra del marito nei momenti più importanti
della giornata come i banchetti, e di partecipare alle manifestazioni pubbliche
e alle cerimonie ufficiali.
Con l’avvento di Roma e della sua civiltà patriarcale, le donne furono via
via estromesse da ogni carica e diritto superiore, fino a che il Cristianesimo
arrivò a negare la loro possibilità di avere un’anima , confinandole al
ruolo marginale di creature inferiori.
Nel mondo etrusco il principio femminile fu venerato nelle figure di molteplici
dee.
La principale dea etrusca fu probabilmente UNI, dalla quale derivò la romana
IUNO, Giunone.
Per gli etruschi Uni fu la Grande Madre, la generatrice universale, la
protettrice delle partorienti, la dispensatrice del potere materno e nutritivo
destinato alle creature viventi per la loro prosperità e crescita.
Uni corrisponde all’archetipo della madre, la donna quale creatrice e origine
del creato.
La madre, la donna procreatrice fu associata all’estate, la stagione della
fruttificazione e del rigoglio della natura. Alla primavera corrisponde invece
Minerva. Il giorno a lei consacrato, il Mineruium, ricorreva il 19 marzo, antica
data dell’equinozio primaverile e festa di tutti gli artigiani, classe sociale
in stretta consonanza con i culti tellurici della madre terra.
Nell’etimologia del nome etrusco
Menerva è presenta la radice men, che deriva da un’antica divinità lunare
dell’Asia Minore (Frigia), Men o Mene. Le seguaci di questo Dio-Luna furono
quelle Menadi celebrate nei miti come donne invase da furore estatico, scatenate
nell’orgiastica frenesia di un misticismo irruento e passionale.
Un usuale oggetto di arredo dei templi etruschi è la antefissa, una grande
maschera di terracotta dipinta a colori vivaci, originariamente appesa sul
davanti del tempio in uno o più esemplari. Il tipo più comune raffigura il
volto di una menade: l’aspetto è marcatamente femminile e giovane , con
tratti realistici sensuali, occhi all’orientale, il capo aureolato da una
specie di ampio copricapo circolare a forma di foglie di
palma. Il copricapo, come un grande e prezioso diadema, ricorda anche una
conchiglia, con le tipiche scanalature a ventaglio. La conchiglia dove nacque
Afrodite e la palma che cresce sul mare sono tra i
più antichi e classici simboli della Grande Dea nel suo aspetto marino.
Il mare e le acque in genere furono sempre dominio della Dea della terra.
Gli antichi ritenevano che fiumi, mari, sorgenti, laghi fossero luoghi di
passaggio per l’aldilà. Da tale credenza deriva l’attraversamento di fiumi
sotterranei come lo Stige, l’Acheronte ed il Lete in verie e mitiche
“discese agli inferi”. La dea amazzone Marina, venerata a Lemno e a Smirne
quale dea del mare, è forse una delle progenitrici delle mènadi etrusche
effigiate sulle antefisse.
La tipologia marina rimanda con insistenza ad antichi culti intrecciati alla
storia, alle migrazioni e alla cultura di quei “popoli del mare”, i Pelasgi,
dei quali anche i Tirreno-etruschi fecero parte.
Un’altra ninfa marina associata alle acque e all’al di là è la
“sirena”. La sirena etrusca è raffigurata a doppia coda a Sovana e a Chiusi
per esprimere potenza multiforme, inoltre essa possiede delle ali sulla schiena
che rivelano la sua natura aerea, spirituale e sottile, in bilico tra il nostro
e l’altro mondo. Essa appartiene all’invisibile mondo delle anime e le sue
ali sono apparentate a quelle degli angeli, le guide alate e soccorritrici della
tradizione cristiana. Una particolare divinità femminile degli etruschi è
Vanth, giovane dea alata che accompagna le anime nel difficile passaggio nel
mondo del post-moderm. Le raffigurazioni di Vanth, in affreschi e pitture
vascolari, sono molto numerose. Ma su di lei non si conosce praticamente
nulla. E’ una divinità rimastas enza storia. Solo il suo ruolo di
“accompagnatrice di anime” è un dato certo. Per i romani questo compito
spettava a Mercurio e per i greci a Hermes “psicopompo”.
Un’altra importante figura femminile della quale restano vaghe tracce storiche
è quella celebre Sibilla, dispensatrice di oracoli, il cui antro sacro era
situato a Cuma. Ma esisteva anche un’altra sua sede, in Umbria, sulla vetta
del monte Sibilla (2173 m).
Alla Sibilla erano anche attribuiti i libri sibillini, il massimo oracolo sacro
custodito a Roma dai pontefici e consultato in caso di grave necessità o di
pericolo.
A Cuma furono attivi e tenuti in grande considerazione dei centri oracolari e
sacri, gestiti da un collegio di sacerdotesse e sibille al fine di perpetuare
l’antico culto della madre terra: curando, dando responsi oracolari,
officiando riti e tramandando la conoscenza delle erbe e dell’ambiente
naturale, sede primaria della grande Dea.
Secondo un’ipotesi indimostrabile ma di antica data, il nome Sibilla sarebbe
derivato da quello stesso Cibele . Alcuni etruscologi tra i quali Raymond Bloch,
sostengono l’ipotesi che i libri Sibillini fossero stati i famosi Libri
Vegoici, scritti dalla sibilla etrusca Vecu, giunti poi a Roma per vie traverse,
in un’epoca in cui gli unici testi scritti e sacri che avevano ampia
circolazione in Italia erano di origine etrusca. Dietro alla denominazione di
sibilla, menade e ninfa si celano dunque delle figure femminili realmente
esistite che, nella trasposizione mitica, avrebbero assunto tratti e
caratteristiche leggendarie, sino anche ad essere divinizzate e circonfuse di un
alone fantastico ed enigmatico. Nella mitologia greca si trova un singolare
riferimento sull’origine di alcune dee e ninfe marine, riferimento che
stranamente non è stato ancora notato da storici e mitografi, nonostante sembri
alquanto significativo. In questi miti greci è chiaramente indicata la
genealogia della cosiddetta stirpe degli Atlantidi i discendenti di una
leggendaria isola, sommersa durante un remoto cataclisma. Capostipite degli
atlantici fu il Dio Poseidon che, unitosi alla madre terra, Gea, avrebbe
generato una razza di giganti: esseri di eccezionale corporatura, ma anche di
elevate capacità creative, conoscitive e tecniche. Anteo, Gerione e Atlante
furono i giganti più celebri. Invece, da parte femminile troviamo la Dea Thetis
in veste di progenitrice di due importanti ninfe del mare, Elettra e Kabeira. La
religione dei misteri di Cibale,
celebrati a Lemno, Samotracia e in Asia Minore, secondo il mito sarebbe stata
originata da elettra, che l’avrebbe rivelata al re sacro Dardano, capostipite
dei Troiani. Il nome di questo re lo si ritrova nello stretto dei Dardanelli,
porta d’ingresso del Mar Nero. Dalla stirpe di Dardano sarebbe disceso
Tirreno, il re lidio che avrebbe guidato la grande migrazione tirrenica
dall’Asia Minore all’Etruria, anticamente chiamata Tirrenide.
La dea e ninfa Kaberia avrebbe lasciato il suo nome ai sacerdoti di Cibale, i
Cabri.
Le origini della civiltà tirrenico-etrusca potrebbero riallacciarsi ai più
remoti tempi di fondazione delle primissime civiltà mediterranee e matriarcali.
a cura di M. C. Viviani
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