DELLA VITA E DELLE OPERE DI 
CENNINO CENNINI DA COLLE VAL D’ELSA

“Or chi di voi non sentirà un dolce palpito a soffermarsi nell’amena regione dell’arte?  Dell’arte dico, il cui impero è così placido e sereno, che sembra riflettere un raggio dell’armonia celeste, e sollevare per poco da questo fango terreno la nostra mente creata per contemplare l’eterna bellezza? Io appunto, preso alle meraviglie di ciò che operarono i nostri antichi intorno all’arte, mi sono eletto un tema, che intorno ad essa si raggira, non senza qualche affinità con la erudizione letteraria. Io considero oggi Colle come la provvida Terra della nostra Penisola, la quale in un suo figlio, che sì le aggiunge decoro, si costituì quasi maestra o divulgatrice di ingegnosi trovati nell’arte di Apelle: io considero Colle come la città sì spesso rammentata nel gabinetto dell’erudito e nei lieti convegni degli artisti, come il suo natale di uno scrittore, che in mezzo all’inerzia degli altri, posando ad ora ad ora il pennello ed impugnando la penna, tramandò ai secoli posteriori i modi semplici ed efficaci del dipingere dei nostri antichi: in una parola considero Colle come la patria avventurosa di Cennino Cennini, l’autore del libro dell’arte, ossia del trattato della pittura.”[1]


Di Cennino Cennini ci restano solo i brevissimi cenni autobiografici che si trovano sparsi nel Libro dell’arte e le scarne notizie riferite dal Vasari nella vita di Agnolo Gaddi. A ciò vanno aggiunte altre poche informazioni raccolte dai fratelli Milanesi in due documenti dell’archivio Centrale di Stato di Firenze, rivedute in tempo successivo da Francesco Dini. 
Dal complesso di questi dati ricaviamo che Cennini nacque a Colle Val d’Elsa, cittadina in provincia di Siena in data non precisata. Qui avrebbe appreso i primi rudimenti dell’arte, studiando per un anno disegno, forse, sotto la guida del padre, anch’egli pittore, per poi passare a Firenze nella bottega di Agnolo Gaddi, dove rimase, come egli stesso racconta, per dodici anni, apprendendo la tecnica dei grotteschi.
Nel 1388 lo ritroviamo intento ad affrescare le storie di Santo Stefano nella chiesa di San Lucchese prossima a Poggibonsi.
Si trasferì più tardi a Padova, dove fu “pittore familiare del magnifico signore” Francesco da Carrara.
Unica data documentata della sua vita è il 1398, anno in cui si trovava certamente a Padova, dove però doveva essere giunto molto tempo prima e dove dimorava nella contrada di S. Pietro con la moglie, donna Ricca, da Cittadella. 
Nella città veneta quasi certamente compose il Libro dell’Arte, come fanno supporre la connessione del trattato  con l’enciclopedismo scolastico, tipico dell’ambiente dotto patavino, ed il linguaggio infarcito di vocaboli e di modi di dire propri del dialetto veneto.
Nel 1403, secondo lo storico colligiano Luigi Biadi, Cennino è di nuovo a Colle val d’Elsa e affresca un soggetto sacro, oro perduto, nella volta sopra l’altare maggiore della chiesa conventuale di San Francesco, opera, sempre a detta di Biadi, firmata “Opus Cennini Andrete de Colle MCCCCIII”; inoltre Cennino avrebbe dipinto una Pietà con Santi, conservata dietro il secondo altare della parete destra della stessa chiesa.
Finiscono qui le poche notizie sulla vita del Cennino, se non che rimane un ultimo documento, ricordato da Francesco Dini e ricavato dalla lettura della Portata del Catasto del 1427.
Nel Catasto di quell’anno compare un giovane di 26  anni, con mogli di 18, senza figli, distinto col nome di Drea del fu Cennino. Questi, con il cugino Agnolo, è comproprietario di terre in località di Lano per un valore catastale di ff.202.7.
Non ci sembra azzardato pensare Drea, figlio del nostro Cennino, che, se così fosse, sarebbe morto prima del 1427. Infatti nulla si conosce circa il luogo e la data della morte, essendo stata da tempo demolita la leggenda di un soggiorno in tarda età nel carcere delle Stinche dove si sarebbe spento. 
La sua arte fu modesta: lo dimostra l’unico dipinto di sua mano giunto a noi e lo conferma una sua umile notazione nel trattato, nel quale si considera “piccolo membro esercitante nell’arte dipintoria 

[…] Io vi dirò: non occorre mendicare glorie non proprie, ne avete assai tra le vostre mura, occorre solo il soffio che le vivifichi e le torni in vita ad esempio e consolazione di voi e della generazione ventura. Landonde io plaudendo al modesto ma celebrato e benemerito scrittore della Val d’Elsa, dico ai Colligiani,
ai nipoti di Cennino: come onoraste il restauratore dell’architettura, il sommo Arnolfo di Cambio, l’arguto poeta Lorenzo Lippi, il valente idraulico Federico Morozzi, onorate altresì colla parola, cogli scritti, coll’apporre, oltre il nome ad una via, un’epigrafe alla casa dove nacque, Cennino Cennini, il gentile scrittore del Trattato della Pittura.”

 


[1] Discorso recitato il dì 21 novembre 1981 da Ugo Nomi Pesciolini, regio ispettore di scavi e monumenti e bibliotecario comunale di San Gimignano.

 

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