SANTA
CROCE E CAPPELLA BARDI NOTA INTRODUTTIVA La chiesa di Santa Croce è nata per volere dei frati francescani, che commissionarono l'esecuzione ad Arnolfo di Cambio. Fu iniziata sul finire del Duecento, come annota diligentemente Villani nella sua cronaca, "Negli anni di Cristo 1294 il dì di Santa Croce di Maggio, si fondò la grande chiesa nuova dei frati minori di Firenze della Santa Croce e alla consegrazione della prima pietra che si mise ne' fondamenti vi furono molti Vescovi...". La chiesa, a pianta a croce greca con tre navate, ha la navata principale che raggiunge i 20 metri di larghezza e i 34 in altezza, eguagliando le cattedrali gotiche del nord. Le navate sono unite dall'ampiezza delle aperture laterali, scandite dai pilastri che si uniscono a formare archi a sesto acuto. Si possono trovare molti punti in comune con il complesso architettonico di San Galgano, e ciò è spiegabile ricollegandosi a quel viaggio fatto da Arnolfo presso Siena. In Santa Croce possiamo inoltre appurare come lo stile gotico si fondi con il romanico, caratteristica tipica del gotico fiorentino. Infatti, a Firenze il gotico ebbe una particolare interpretazione che lo rende unico. Al termine della navata si trovano dieci cappelle, cinque per ciascun lato dell'abside, e a destra di questa è sita la Cappella Bardi. All'interno della Cappella sono affrescate le Storie di San Francesco, riassunte negli episodi più rappresentativi della sua vita: la rinuncia ai beni materiali, la conferma della regola da parte della Chiesa, la missione evangelica in Oriente, l'evento miracoloso della stigmatizzazione, la morte e due miracoli post mortem. Ciascuna parete conta di tre affreschi per lato, dei quali due sono di forma rettangolare, mentre il terzo posto al livello superiore prende la forma di lunetta, seguendo l'andamento della volta che lo sovrasta. Le dimensioni degli affreschi si aggirano intorno ai 2,80 metri di altezza per 4,50 metri.La scena delle stimmate, poiché sta a rappresentare il fatto più importante della vita del Santo, è situata sopra l'arco d'ingresso alla Cappella, ed è l'affresco di maggior dimensioni. Infatti, tenendo conto della cornice, misura sui 4 metri, ed è quasi di forma quadrata. Ai lati della finestra troviamo un gruppo decorativo, composto originalmente da quattro Santi, dei quali soltanto tre sono leggibili : Ludovico da Tolosa, Santa Chiara e, assai rovinata e guasta, Santa Elisabetta. Nella volta ripartita da costulature in quattro parti, entro tondi con cornice polilobata, restano assai danneggiate le rappresentazioni delle Allegorie a mezzo busto, Castità, Povertà, e Obbedienza, e la rappresentazione di San Francesco. E' nata una querelle sulla datazione, anche se per differenza di pochi anni. La realizzazione degli affreschi può essere collocata nel periodo seguente agli affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova, e precedente agli attigui della Cappella Peruzzi, anche se alcune affinità stilistiche con le opere più mature di Giotto, e perfino con gli affreschi del Bargello eseguiti poco prima della morte, potrebbero collocarla in una fase più tarda. Il post quem è la presenza di San Ludovico, la cui santificazione è avvenuta nel 1317, per cui l'inizio degli affreschi dovrebbe essere posteriore a questa data. I critici rimangono discordi circa l'anno preciso, che oscilla fra il 1323 e il 1327. Negli affreschi di Santa Croce è evidente la maturazione artistica raggiunta da Giotto, soprattutto se confrontati con i precedenti affreschi realizzati ad Assisi nel 1296 e seg. che sviluppano lo stesso tema: le storie di San Francesco. Il complesso pittorico ha subito gravi danni durante i secoli, tanto da perdere l'integrità pittorica e, tra l'altro, la stessa sorte è toccata all'attigua Cappella Peruzzi. Agli inizi del Settecento fu celato sotto una scialbatura d'intonaco e alle pareti furono inseriti lapidi ed applicazioni di stucco che aggravarono ulteriormente lo stato di conservazione degli affreschi sottostanti. Nel 1730 l'affresco risultava completamente celato, ma l'ennesimo deturpamento lo subì proprio nel momento del primo restauro. Ad opera del Bianchi nel 1852 l'affresco venne liberato dall'intonaco, ma poiché presentava innumerevoli lacune dovute agli innesti lapidei, vennero attuate arbitrariamente delle integrazioni che snaturarono l'opera. Tali integrazioni non erano altro che frutto di congetture e di fantasia, che poco hanno a vedere con il vero concetto di restauro. In quel tempo non vigevano regole per eseguire un restauro, sebbene il tema del recupero delle opere d'arte fosse molto sentito fra gli artisti e i letterati spinti dai fervori romantici al recupero del passato, in particolar modo del gotico. La stessa cultura positivista e Darwinista portò notevoli incrementi nel campo del restauro soprattutto in quello teorico dove vi furono diverse collaborazioni fra scienziati e storici dell'arte, ma ciò non fu sufficiente a porre fine agli interventi di ripristino e ai completamenti di stile. Questo è ciò che accadde al complesso pittorico qui preso in esame. Nel 1934 iniziarono i lavori di restauro ad opera di Ugo Procacci che ripulì l'affresco situato sull'arcone d'ingresso. E' ad opera dello stesso nel 1937 e del suo allievo Tintori nel 1959, che il complesso pittorico riacquistò l'aspetto più vicino possibile all'originario. Furono eliminati le varie integrazioni e i rimaneggiamenti eseguiti dal Bianchi tramite una scrupolosa pulitura, che rese visibile la natia policromia giottesca. Il restauro del Procacci è documentato in un opuscolo da noi consultato. In esso sono però presenti le foto dell'affresco precedenti al suo restauro, dove si vedono le integrazioni ed i vari interventi eseguiti dal Bianchi. Non ci vogliamo soffermare ulteriormente sulla questione del restauro, in quanto lunga e a tutt'oggi assai controversa, ma ci limitiamo a riportare un pensiero di Milizia che già nel 1802 scriveva a riguardo nel suo Dizionario delle Belle Arti del disegno, sotto la voce "ritoccare":"... mettere le mani nelle opere altrui insigni alterate dal tempo, è deturparle, il che è peggio che distruggerle. Un quadro disaccordato e guasto dagli anni sia ritoccato da mano esperta. Per un momento farà buona comparsa, ma di lì a poco diverrà peggio di prima perché le nuove tinte cambiano e discordano con le vecchie... ". Dopo il restauro, abbiamo potuto di nuovo ammirare i colori di Giotto e la prospettiva degli elementi architettonici che sono usati da sfondo. Questa predilezione per l'architettura molti critici la fanno risalire a quell'incontro avvenuto in età giovanile a Roma, con Arnolfo di Cambio. Pensiamo, infatti a quanto il classico ritmo giottesco, la misura e gli elementi architettonici siano riflesso dello stile di Arnolfo, e allo stesso tempo Arnolfo si rifletti su Giotto. Tutto il complesso di Santa Croce ha la dignità solenne, unita all'eleganza, tipiche caratteristiche che dominano sugli affreschi di Giotto siti nello stesso luogo. Arnolfo risolve in architettura quello che Giotto rappresenta in pittura, e allo stesso tempo Giotto sviluppa negli affreschi quel tipo di architettura che Arnolfo progetta. Come abbiamo precedentemente assicurato, Giotto ebbe molti contatti con alcuni fra i personaggi illustri del tardo Duecento, in particolar modo fu in contatto con Dante. L'Argan apre il capitolo su Giotto soffermandosi appunto sul paragone fra questi " due pilastri di una nuova cultura ". Difatti, pur operando in campi assai diversi, come sono la pittura e la letteratura, la loro risulta essere la stessa summa di esperienze culturali, divulgate con la medesima funzionalità propedeutica. Dante ricava il suo pensiero etico e religioso da San Tommaso, mentre Giotto subisce positivamente il fascino mistico di San Francesco. Lo stesso Dante riconosce nel Nostro quella capacità di trasportare sul piano pittorico i dogmi e le regole morali, che egli era solito divulgare tramite la scrittura. E' un modo innovativo di concepire l'arte, egli non è più soltanto un artigiano che opera al servizio di committenti, siano essi uomini politici o religiosi. E', a tutti gli effetti, un rinnovatore, un personaggio storico intento a mutare le concezioni, i canoni esistenti e le finalità del suo operare. La sua arte si deve osservare non solo con gli occhi, ma con l'intelletto.Va, infatti, lodato per il suo genio creativo, ma anche per l'interpretazione della storia, della natura e del vero che attua. Discepolo di Cimabue ne apprese le incerte innovazioni pittoriche facendole sue, e distaccandosi sempre di più dalla iconografia di reminiscenza bizantina. Liberata da tali canoni, che la imprigionavano nella statica del bidimensionale, la pittura diviene vicina alla classicità, e ne acquisisce i contenuti naturalistici e storici. L'antichità è così la fonte alla quale attingere, dove ritrovare l'armonia fra la natura e l'uomo, e ricollegarsi a un mondo naturale che rimanda all'età dell'oro. Giotto quindi, recupera la naturalezza e la gentilezza della sua pittura, non tanto dall'osservazione del vero, quanto attraverso il processo intellettuale e storico. Il suo è un modo di procedere basato sul pensiero storico, e sulla concezione deterministica e finalistica della realtà, una prerogativa di derivazione tomistica. All'arte statica bizantina Giotto sostituisce l'azione, il dramma occupa il posto della tragedia, il sentimento non prevarica mai l'intento etico, caratteri tipici della classicità. Pur rientrando cronologicamente che per altri aspetti, nel movimento gotico, se ne allontana, diventando così il precursore dell'Umanesimo. Del Gotico ricusa l'estatico e il tragico, il meraviglioso e l'eccesso di pathos, ma ne assimila quel dualismo Divino-Umano, caratteristica riscontrabile anche in Dante. Lo scopo finale del nostro artista è quindi il delineare in senso storico e non leggendario la figura del Santo di Assisi e l'importanza storica che ebbe nel rinnovare i dogmi della Chiesa. Nei suoi affreschi non vediamo il Santo ritratto come il poverello, o come un solitario asceta, come veniva raffigurato dallo stesso Cimabue, ma come un personaggio storico, con la sua dignità e la sua carismatica aurea morale. Un uomo degno per l'importanza storica dei suoi atti, più che per i suoi miracoli. Per Dante e per Giotto è il fatto storico a determinare il disegno divino, non è l'episodio di per sé, ma il compiersi di esso, che rivela con chiarezza la realtà. La concezione della realtà nel suo equilibrio fra il divino e l'umano, l'universalità della storia, che trova espressione e pienezza in ogni singolo fatto rappresentato, e la purezza formale scarna d'allusioni o suggerimenti, sono queste le tematiche ricavate dal mondo antico. Negli affreschi ivi rappresentati non esiste una continuità narrativa costituita dalle sequenze episodiche, ma l'unità del ciclo è data dalla medesima sostanza umana trattata, al pari di una prosa letteraria del tempo, ad esempio quella del Boccaccio. L'architettura qui perde quella funzionalità che aveva nel ciclo di Assisi di parte narrante e di scansione metrica, diventando semplice cornice e sfondo. Il margine che delimita non è più invalicabile, ma anzi si apre come orizzonte. Le storie di San Francesco in questo nuovo ciclo, sono rielaborate con maggior disinvoltura dal Maestro, e assumono una calma e una musicalità, che sono evidenti segni della maturazione espressiva raggiunta. L'interesse di Giotto si rivolge verso nuovi orizzonti, lascia più libertà d'esecuzione alla propria bottega, perché preferisce curare il disegno, inteso come progetto, piuttosto che l'esecuzione materiale dell'opera. Il disegno preparatorio è visto come l'ideazione, la premessa necessaria per ogni tipo d'investigazione artistica. E' grazie a questa nuova impostazione del concetto di disegno che cambia gradualmente il rapporto fra le diverse attività artistiche. Questo rapporto non si basa più soltanto sulla solidarietà nel cantiere che crea uno stretto rapporto fra le varie discipline artistiche. Per Giotto il legame fra le arti è giustificato dall'ideale che le accomuna, l'ideale della pulcritudo, che ciascun'arte realizza secondo le proprie tecniche. Nasce con lui l'ideale che sarà da fondamento sia all'Umanesimo sia al Rinascimento: UNIVERSALITÀ' DELL'ARTE. Per maggiori informazioni E-mail info@bottega2000.it |