IL
VESTITO
Mi sta
succedendo una cosa strana. Da un po’ non sono per niente
soddisfatto di me stesso senza poterne rintracciare la ragione.
Questa preoccupazione mi logora talmente i nervi, che ne risente
persino la mia salute. Ho infatti spesso mal di testa, non dormo più
come prima, digerisco male… E poi, a volte, all’improvviso, quando
meno lo aspetto, una strana paura mi prende, oscura, irragionevole,
che mi sconvolge sino a darmi persino palpitazioni. Ma se dovessi
dire il perché di tutto questo io non saprei proprio dire. Comunque
la nota di fondo di questo disagio è una impalpabile ma lancinante
insoddisfazione di me. Ế una cosa davvero paradossale, questa,
perché, sino a pochi giorni fa, io ero molto soddisfatto di come
sono; la mattina mi alzavo sereno, sempre in piena forma, se pensavo
al giorno prima lo rivisitavo con soddisfazione e il domani me lo
programmavo con grande sicurezza e compiacimento. Almeno riuscissi a
ricordare quello che ha determinato questo sconvolgimento! Che cosa
mi sarà accaduto…Io cerco.. cerco…
_____
Passano i giorni ma la faccenda non si aggiusta per niente, anzi si
aggrava. Ormai ho capito che, di sicuro, ho sbagliato qualcosa. Se
approfondisco l’indagine per impressioni invece che col raziocinio,
ho la sensazione di aver fatto un grave errore di calcolo. Quando e
dove, non lo so. Se riesco ad afferrare la sensazione più profonda e
cerco di capire attraverso metafore, vedo la mia anima come
un’ossatura e, il mio stile di vita, lo vedo come un vestito che io
vi abbia cucito sopra, con grandissima cura, punto per punto.
Quel senso angoscioso di paura mi nasce dal sospetto che io abbia
sbagliato le misure perché quel vestito, è come se mi diventasse
stretto all’improvviso col pericolo che, scucendosi, mi potesse
cadere di dosso lasciandomi nudo. Io non capisco. O non mi era
andato bene sino ad ora? Io ero soddisfatto di me, ed era la società
stessa a darmene il consenso. Io sono un uomo arrivato, un uomo di
successo, apprezzato da tutti umanamente e socialmente. Sono
stimato, amato e ricercato da uomini e da donne e non vedo la
ragione di cambiare il vestito, sia stile di vita, sia maschera, sia
personalità; perché in società mi calzava a pennello e mi rendeva
bene. Nel mio ambiente io mi sono sempre trovato a mio agio. È vero
che gli ambienti me li sono cercati sempre tra gente un po’ più
sprovveduta di me, perché io sono un tipo che vuole emergere, essere
di più, sapere di più (sono molto orgoglioso). Le persone che
frequento sono quasi sempre perdigiorno, ignoranti come zebre, ma di
condizione sociale alta con coorte di leccapiedi meno abbienti,
sempre all’avanguardia in cianfrusaglie e orpelli; oppure sono
personaggi indaffarati a fare soldi con grande talento per
l’economia e la politica, ma quasi sempre negati alla spiritualità,
alla cultura e alle cose dell’arte. In questa società è chiaro che
io brilli, tra loro, come un faro. Essi sono attratti dal mio
sapere, dal mio senso estetico, dal livello di conversazione che
offro loro. Accettano a occhi chiusi i miei suggerimenti, si sentono
lusingati della mia amicizia e fanno a gara ad offrirmi le loro case
ben frequentate, i viaggi sulle loro imbarcazioni, le vacanze in
villa, ben felici di ornarsi della mia persona. Esagerando (ma
questo mi piace) essi mi considerano un genio e mi attribuiscono
cultura e conoscenza assai di più di quanto io ne abbia. Per
esempio, quando mi vogliono far conoscere gente nuova, mi presentano
in modo addirittura imbarazzante (io sono molto riservato) sul tipo
“Ecco una bella mente”oppure “Ti voglio presentare un intellettuale
che la sa lunga”. In realtà nella vita, se devo essere sincero, non
è che io abbia combinato gran che. Intanto non ho bisogno di
lavorare perché ho una piccola rendita che mi viene dagli affitti di
poche case in centro, ereditate da mia madre e quindi non sono
obbligato, dalla necessità, ad esercitare un mestiere vero e
proprio; al massimo posso scrivere qualche articolo di bonaria
cronaca mondana, e, a volte (ma raramente), scrivo qualcosa di
costume, sì, non faccio gran che; ma studio molto e leggo e mi
aggiorno. È vero, la mia cultura è di superficie, ma vasta e di buon
livello (io poi ho grande senso estetico e un buon gusto innato). E
poi, abile come sono ad avvalermene, della cultura, (ho una memoria
di ferro ed ho citazioni di prim’ordine da esibire per ogni
situazione) riesco in ogni momento a tenere alto il mio prestigio di
intellettuale colto e raffinato. Da chi ha vera passione per uno
studio serio in una direzione sola, io sarei attratto. Ma me ne sto
alla larga perché nell’eclettismo trovo maggiori soddisfazioni e poi
non mi piace il ruolo secondario dell’allievo; preferisco fare il
maestro con chi sa meno di me. Adesso però l’insicurezza che mi
attanaglia l’animo mi toglie ogni piacere di compiacermi di me
stesso. Sono in crisi profonda.
___
Vedo bene che è impossibile liberarmi da questo inquietante
problema. Anzi, sta diventando addirittura angoscioso ora che invade
i miei giorni e le mie notti mentre continuo a cercare
ossessivamente il momento che ha scatenato questo malessere. Insieme
alla preoccupazione, poi, mi cresce dentro l’ansia di valutare
obbiettivamente chi sono, chi ero, come sembro agli altri,
confrontandomi con la mia vera natura, in una continua revisione
(mai attuata prima di ora) tra l’essere e l’apparire al mondo, quasi
che, definendomi con chiarezza, tutto possa ritornare come prima. Ma
non è così. Io soffro sempre di più. Intanto cose nuove affiorano
alla mia coscienza, chiare, anche se, senza averle rilevate a
nessuno, io le so da tempo. Sono debole, si, e quasi femmineo nella
passività che dimostro ad adattarmi alle situazioni; ma proprio per
questo sono anche forte di una plasticità che aderisce prontamente
ad ogni situazione. Sono un mediocre, sì, un mediocre e un ipocrita
se si guarda a fondo, ma quando uno ha stabilito che è un mediocre e
possiede un’ambizione pari alla mia, bisogna pure che ricorra
all’ipocrisia -è una legge matematica- mediocrità, più ambizione,
uguale ipocrisia. Quando siamo in chiaro con noi stessi, la
coscienza si adatta e l’operazione non presenta alcun rischio. Anzi,
una volta entrati nel gioco, è facile e divertente fare l’ipocrita,
se lo fai con grazia, tanto che io, nel lungo uso sono addirittura
diventato maestro. Forse che uno deve dimostrare a tutti la propria
mediocrità quando vuole avere successo? Ma via! Travestirsi deve,
crearsi uno stile, una facciata bella, deve saper rivestire il
proprio essere mingherlino con abiti sontuosi o, per lo meno, di
buon taglio, gradevoli, eleganti, moderni, che lo facciano apparire
migliore. I dèficit che hai, le debolezze, non devono mai affiorare,
ti indebolirebbero. Si sa che, dai complessi di inferiorità non è
nato mai niente di buono. Se vuoi importi nell’informe, nebulosa
indeterminatezza della vita, devi mostrare sempre di credere in te,
nella tua intelligenza, nelle idee che professi, nelle cose che
dici. Se vuoi vincere nel mondo, devi imparare a venderti bene. E il
mondo ti comprerà per come ti vendi.
A dire il vero, poi, io non ho soltanto quei ricchi ingenui, per
amici. Tengo pure amici quasi sempre più giovani di me, squattrinati
ma con molte ambizioni, intelligenti ed avidi di sapere e di
vincere. Essi mi cercano, pendono dalle mie labbra e non mi mollano
mai. Per loro sono un maestro, un luminare, ma pure un grande padre
o un fratello più grande. Stanno sempre intorno a me come una
piccola corte e molti me li invidiano. Mi danno, pure loro, si,
molta soddisfazione. Devo ammettere comunque che io il mio lavoro lo
faccio bene e vi impegno tutte le mie risorse, il mio tempo,
l’intelligenza che ho, la mia passione, per poter ampliare le mie
cognizioni e la mia credibilità. Leggo e studio infatti i libri più
in voga mantenendomi sempre all’avanguardia; mi occupo di cinema, di
fotografia, di arte, di filosofia, anche se, personalmente non
brillo in nessuna scienza e in nessuna arte. Per la psicologia,
invece, ho un talento speciale, ho le antenne, una specie di intuito
innato che mi rende palese ogni oscurità dell’animo altrui,
utilissima nei rapporti con gli altri e che, addirittura, può essere
agli altri di aiuto. Ma basta! Non voglio più pensare a chi sono e
chi non sono; mi stanco troppo e voglio distrarmi. Mi hanno offerto
dieci giorni in Sardegna. Parto stasera. Chi sa che là, io non
ritrovi la pace.
___
La vacanza non mi ha giovato per niente. Tutti si sono accorti che
dovevo avere un problema personale, perché spesso ero silenzioso e
assente. Il padrone di casa, battendomi una mano sulla spalla
amichevolmente mi ha detto “Se hai bisogno di soldi….”; qualcuno ha
ipotizzato che io sia innamorato. Ma figurati! Io di amore ne parlo
abbondantemente e da esperto, anzi fa parte della mia filosofia “ama
e il mondo ti restituirà amore”; ma l’amore io, francamente non so
cosa sia. Né voglio saperlo. Io amo soltanto il sesso mio che,
appassionatamente, puntualmente, coltivo e appago. Dio ce ne scampi
dall’amore come sentimento! L’amore è roba da donne e a loro
conviene. Ma io sono VIR, sono uomo che deve stare aperto a tutte le
avventure. Se amo qualcosa fuori di quello, amo la mia libertà e
adoro la mia indipendenza da singolo. Se poi aggiungi che, per
temperamento, appena la donna l’ho avuta, non mi interessa più, di
che me ne farei io di averne una sola?
Però le donne mi piacciono, mi piacciono, mi piacciono… Ed io a
loro. Nella struttura fisica sono alto e atletico, ma non ho mai
pensato di essere bello. Eppure loro mi trovano attraente,
misterioso, affascinante, seducente…La seduzione, è vero, la conosco
bene, per istinto; e la psicologia mi rende vincente anche con le
più difficili. Diciamo che un po’ più difficoltoso è liberarsi di
loro. Ma sono abilissimo a tradurre presto la loro delusione in
amicizia eterna. Una sola, una volta, una sentimentale immatura (il
tipo da principe azzurro) diversi anni fa tentò il suicidio. Ma io
non mi sentii responsabile. Non era colpa mia se lei era
sentimentale e immatura. Devo poi ammettere che non tutte le donne
mi attraggono. La donna passiva ad esempio, la vittima predestinata,
quella senza guardiano al masochismo, la succube, la poverina, non
mi accende. Della donna io voglio la conquista, la lotta, il lavoro
della seduzione che mi porti alla vittoria finale. Adoro le fatiche
della seduzione, perché è questo che principalmente mi affascina. Io
non posso rinunciare all’aggressività intelligente e scaltra che
occorre per la conquista della femmina che ho scelto, e una donna
debole, che cede subito, non mi dà esca. Lo stesso effetto me lo fa
la donna mascolina, energica. Nella sessualità non mi piace essere
dominato o manovrato. Ho bisogno di organizzare e di condurre il
gioco a modo mio. Con la donna sensuale invece, a cui piaccia la
battaglia d’amore, io ho tutte le armi affilate, le occhiate, i
silenzi, i ripicchi, i dispetti, l’aggressività e la freddezza e
l’arte del possesso brutale che me la rendono vinta. Ma l’esperienza
che più mi attira è con la donna romantica. Per lei ho proprio una
inclinazione naturale e quindi un arsenale di risorse. Con lei non
parlo che di poesia, di fiori, di musica, di fragilità
dell’essere,di mistero della vita,di tempo perduto per sempre. E
sospiro con lo sguardo smarrito nel vuoto e divento sensibile,
tenero, buono (del resto io sono buono). Con lei sono attento a
tutto. Se un insetto cade in un bicchiere d’acqua davanti a lei, io
lo salvo ponendolo delicatamente all’asciutto sulla mia manica e con
parole tenere, sommesse, lo incito a volare via. E l’ascolto rapito
quando mi parla di sé giovinetta e ancora voglio sapere e ancora
sapere… E mi mostro cupo e dolente quando mi parla ingenuamente di
un lontano amore con l’evidente intento di ingelosirmi, e per un po’
faccio il geloso, molto, molto bene. E canto, si, canto anche, e la
mia voce che è calda e profonda, trova gli accenti più appassionati.
Ế alla luna che canto, davanti a paesaggi notturni, dolcemente, tra
i capelli di lei; o di amori tristi senza speranza canto, davanti al
mare, quando la sera cade dalle dita di un tramonto rosato. Le
parole delle canzoni sono spesso viete, banali, ma efficaci. E,
mentre canto, gli occhi mi si riempiono di lacrime, perché piango,
sì, piango e non di lacrime finte; perché io sono davvero un po’
commosso e triste. Posso dire di me, senza falsa modestia, di
essere, qui, veramente eccelso, perché io sono e sarò sempre, come
il momento vuole che sia.
___
Finalmente!... Finalmente stanotte sono riuscito a rintracciare il
momento in cui sono precipitato in questa situazione infernale. Sì,
credo che tutto sia nato due mesi fa, in quella notte dell’agosto
scorso, mentre rientravo con un amico da una festa nella villa di X.
Ci eravamo tanti divertiti ed eravamo su di giri e un po’ brilli.
Guidava un piccolo della mia corte, un ragazzo intelligente,
ambiziosissimo ma squattrinato, fissato sui motori, a cui permetto
di guidare, ogni tanto, la mia Porsche decappottabile. Ricordo che
cantava a squarciagola una canzone molto ritmata battendo con
veemenza il tempo col pugno sul volante. Io stavo seduto accanto a
lui in silenzio, la testa appoggiata all’indietro a guardare il
cielo. Ad un tratto ebbi la strana sensazione di stare fermo, come
appiccicato all’asfalto, nonostante il vento mi scompigliasse i
capelli per la grande velocità. Ricordo il ronzio del motore, sordo,
monotono, insistente, mentre guardavo in alto con attenzione le
stelle. E immenso e alto mi parve all’improvviso il cielo e la luna
ferma e severa, chiara come non mai, e paurose mi parvero, e
spietate, le stelle e il buio della notte, trasparente e fondo, sul
quale mai prima mi ero soffermato, per la prima volta mi apparve
inesorabile e pauroso. Spalancai gli occhi per lo spavento. E fu
proprio allora, in quel fatidico appropriarmi del cielo in modo
nuovo, che io mi sentii piccolo, piccolo, insignificante, mi vidi
come un insetto, un povero pidocchino che, insieme ad altri,
arrancava in salita, senza scopo alcuno, per le strade di questa
immensa testa della terra, un insettino ignaro di essere egli nulla
in confronto al cielo, nulla in confronto all’universo.
Contemporaneamente mi fu dolorosamente chiara la brevità della mia
esistenza e i secoli li vidi scorrere rapidi come respiri. Sentii
d’un subito, con forza, che presto sarei scomparso dalla faccia
della terra e, come me, tutti quelli che conoscevo, tutti insieme in
cammino verso il nulla, tutti condannati a morte, ineluttabilmente,
irremovibilmente mentre le stelle lassù sarebbero rimaste, vive,
eterne, testimoni indifferenti del nostro inutile, fugace vivere. Un
senso tragico mi prese per il destino dell’uomo e vergogna insieme
per la vita che conduciamo, tutti, tutti, sprecata a concludere
affarucci, ad arraffare cose effimere, affaccendati ad ingannarci, a
prevaricarci, a sfruttarci a vicenda, illusi di valere, tutti
indaffarati a soffrire e gioire di passioni che non servono a nulla,
sempre le stesse da che mondo è mondo, impegnati tutti a vivere
stupidamente, ingenuamente, vite che non servono a nessuno, e a
morire senza lasciare traccia alcuna del nostro essere vissuti che
sia di aiuto a chi resta. Nel tempo di un fulmine ebbi chiaro il
senso vero della vita. Fu allora che vidi vuoto ed inutile tutto ciò
che avevo in vita vagheggiato. Vidi gretto e ridicolo ciò che avevo
creduto elevato e importante e di colpo mi sentii nudo, non più
vestito di apparenze, nudo ed inerme sotto le stelle, schiacciato
dal senso del finire. Mi fu chiaro in modo dolorosamente tangibile
che tutta la fatica e le astuzie che avevo adoperato per cucirmi
addosso un abito confacente al mondo erano state inutili. Quel
vestito non mi rappresentava nel vero. Forse non mi aveva mai
rappresentato nel vero. Io avrei potuto essere altro.
___
Ora che ho visto chiara la causa della mia crisi, mi sono calmato.
L’angoscia è sparita. Né vergogna né dolore mi opprimono più, sono
rinato. Anzi direi che sono più forte e più ricco di prima. Ma ora
dovrò scegliere se rifarmi un vestito nuovo che più consono alla mia
vera natura (ora che ne ho afferrati i lembi più profondi) o se devo
adattarmi alla veste che ho sempre portato tornando quello che ero
prima. Dovrò scegliere. Ma ce la farò a scegliere per il meglio? E
sarà possibile rifarsi un vestito nuovo a cinquant’anni? Io poi sono
pigro e non mi piacciano affatto i cambiamenti… Nel cambiamento
possono esserci vantaggi, è vero, ma pure dei rischi. Nella
ripetizione invece non ti arricchisci, ma un livello minimo di
stabilità è assicurato…
Non so come finirà tutto questo. Non è da escludere che mi porti al
suicidio. Se mi dovessi decidere, il mio orgoglio mi suggerisce una
morte clamorosa, degna di me. Forse vorrò il sangue, il sangue mio
che schizzi dalle vene recise sui muri e inondi il mio letto di
colore vermiglio… O forse un volo dal terrazzo di casa mia… al
sedicesimo piano… giù ad angelo… per finire spappolato sul
marciapiede… Di certo farò in modo che almeno una donna si senta
responsabile della mia morte, perché la mia tomba sia sempre piena
di rose.
Perché mi piacciono le rose…
Si…
Mi piacciono le rose. |