UNA
VOCAZIONE
Dal
piccolo oblò chiuso da una robusta grata di ferro e incastonato come uno
zaffiro nero quasi al colmo dell’imponente volta, vedeva finalmente la
sala sotterranea, immensa e vuota, illuminata da una leggerissima luce
violacea, come una enorme ampolla termoionica.
La sala aveva forma emisferica; sul pavimento rotondo erano come incisi
due percorsi fra loro perpendicolari della profondità di due spanne e
della larghezza di circa dieci passi. Attraversavano la sala per tutta
la sua ampiezza e, visti dall’alto, davano l’impressione di una enorme
croce di Sant’Andrea inscritta nel perimetro circolare del pavimento. Al
centro della croce una grande botola chiusa, anch’essa circolare. La
sottile corrente d’aria fresca e umida che saliva dalla sala sapeva di
ozono. Ebbe un leggero brivido.
No…non era paura: aveva vicino la sua guida spirituale, un vecchio
monaco di grande sapienza cui l’età veneranda aveva risparmiato la
lucidità e la memoria ma non le gambe, ormai malferme, né gli occhi,
quasi completamente ciechi. In quel lungo viaggio sotterraneo in discesa
per gradini stretti e scivolosi, il vecchio e il giovane si erano dunque
scambiati prestanza fisica per esperienza e saggezza.
-Nei secoli bui del Disordine- disse il vecchio puntando l’indice nodoso
verso la grande
sala oltre l’oblò - i trinitari scavarono in gran segreto questa
enorme caverna.
All’inizio fu concepita come rifugio, in seguito divenne luogo di
esercitazioni spirituali. Ancora oggi, tranne i monaci, nessuno conosce
l’esistenza di questo luogo.
- Poi tacque. Nel debole barlume bluastro il volto ossuto e livido del
vecchio trinitario appariva vagamente spettrale.
Il
giovane guardava con apprensione la grande sala sotto di lui e di quando
in quando si volgeva verso il vecchio, chiuso nell’insondabile silenzio
e nell’immobilità tipici delle meditazioni dei trinitari. Lui, giovane
catecumeno, all’inizio del suo percorso mistico, sentiva invece
l’inquietudine che sempre precede i momenti decisivi di un’esistenza.
Nei due anni trascorsi al monastero aveva imparato a controllare la
fame, la sete, il sonno, la fatica, il dolore fisico; poco poteva
tuttavia - se ne rendeva conto in quel momento - contro le emozioni da
cui era rimasto lontano e contro cui era del tutto indifeso.
Improvvisamente la botola circolare sul pavimento si aprì. Dal pozzo
sottostante stava emergendo lentamente un semaforo, un enorme,
gigantesco semaforo. Quando giunse a circa due altezze d’uomo smise di
salire e si accese: verde, giallo, rosso; poi di nuovo: verde, giallo,
rosso.
Il giovane si volse esitante verso il vecchio; il suo sguardo
interrogativo esprimeva incredulità e sgomento ma, prima che riuscisse a
formulare una domanda, il vecchio riprese a parlare.
-Nell’Unità del Semaforo noi adoriamo la Trinità dei colori: il Rosso
come il sole che ci domina e ci sovrasta è l’elemento trascendente. Il
Verde come la natura che ci accoglie e ci sfama è l’elemento immanente.
Il Giallo infine è l’uomo, intersezione fra i due elementi: lungo il
processo di elevazione fra il terreno e il soprannaturale, l’uomo è
l’entità transeunte che, nata dal fango, ha in sé il germe divino che lo
porta a ricongiungersi all’Eterno.
Parlava il vecchio trinitario senza enfasi, con la serena compostezza di
colui che possiede la verità e con la forza e la convinzione di chi,
liberatosi da tutte le scorie terrene, sia pervenuto a una spiritualità
prossima all’Assoluto.
-Ora sai - riprese a dire - il perché del nostro nome “trinitari”
e il perché del colore giallo del nostro saio. Il turbamento del giovane
si stava mutando pian piano in una rassicurante sensazione di
tranquillità.
-Osserva il Semaforo - continuò il vecchio indicando il centro della
sala sottostante - guardalo attentamente e vi leggerai la metafora del
Creato: nel passaggio dal Rosso al Verde vi è la caduta e la dannazione
dell’uomo ma vi è anche la vicenda del Dio che si fa Uomo che soffre e
che muore per il riscatto e la salvezza dei suoi fratelli mortali. Nel
successivo passaggio dal Verde al Giallo vi è la sua morte e quindi la
resurrezione e l’ascesa al Rosso nel cui trionfo finale è la promessa
escatologica della vicenda terrena.
Mentre ascoltava il vecchio, la sala si andava via via riempiendo di
presenze silenziose e sfuggenti. Giovani uomini anch’essi scalzi e col
saio dello stesso giallo vivo del suo. Avevano il cappuccio alzato e non
riusciva a vederne i volti. Capì che il destino si stava compiendo
e si volse di nuovo verso il vecchio aspettandone le ultime parole prima
del commiato, parole che - lo sentiva - non avrebbe mai dimenticato: un
viatico di forza per i momenti della tentazione, di luce per i momenti
di dubbio. E il vecchio parlò ancora:
-Il tempo è venuto. Quando
risalirai queste scale io non sarò più di questo mondo ma non avrai
allora più bisogno di alcuno, saprai da solo distinguere il bene dal
male giacché in questo è il senso e questo è lo scopo del lungo
esercizio che ti attende.
Ricordati sempre che il Semaforo è l’Ordine Cosmico, la Legge Divina
alla quale dobbiamo sottostare e che agli incroci della vita ci dice con
chiarezza luminosa: “questo si” oppure “questo no”, “questo
si può” oppure “questo non si può”, “ora si”
oppure “ora no”, “ferma” oppure “passa”.
L’obbedienza è il più bello e il più difficile dei nostri voti ed è
anche dove il Maligno più volentieri e con più speranza ci tenta: è
quindi nell’obbedienza dove più dobbiamo esercitarci.
-Sappi infine - riprese dopo una lunga pausa; la sua voce si era fatta
più lenta e più profonda - sappi che il Semaforo non è un simbolo, non è
un semplice totem: nel momento in cui lo guarderai e gli ubbidirai
esso cesserà di essere un oggetto di ferro e di vetro: esso sarà la
Legge, l’Essenza Divina, l’Assoluto…- poi, allargando le braccia e
guardando con le bianche pupille verso l’alto, con l’aria ispirata e
solenne di un santo, quasi urlò:
-Questo è il miracolo della transustanziazione del
Semaforo!..
Poi tacque. Quando riprese a parlare la sua voce era poco più di un
sussurro:
-Ecco, disse - ora tutto ti è stato rivelato. Vai dunque: da questo
momento anche tu sei un trinitario.
Negli
anni che seguirono il giovane avrebbe spesso ripensato al suo maestro
con affetto e con devozione, ma in quel momento lo stato di esaltazione
gli risparmiò la commozione del distacco dal vecchio monaco. Scese di
corsa la rampa di scale che conduceva alla piccola porta di accesso
riservata ai novizi e fece il suo ingresso nella grande sala.
Si sentiva soltanto il fruscio delle vesti: la regola prevedeva di
tacere e di non guardare in viso nessun compagno di viaggio. Si accodò
al gruppo di novizi che lungo uno dei bracci della croce procedeva verso
il centro della sala.
Giunti di fronte al Semaforo che in quel momento segnava rosso si
arrestarono; passarono allora quelli che procedevano da destra e da
sinistra. Quando divenne verde questi ultimi si arrestarono e passò il
suo gruppo e quello che veniva in senso inverso.
Procedettero e arrivati al termine del percorso invertirono la marcia e
tornarono verso il centro della sala, di nuovo di fronte al Semaforo.
Questa volta era verde per cui passarono ma la volta successiva era di
nuovo rosso. Dovettero attendere il verde, poi continuarono…
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