PREMIO SPECIALE "MARIO CONTI"
ASSEGNATO DAL CONSIGLIO DIRETTIVO

Vera Franci Riggio
"Quell'estate del '44 ed altri racconti"
Florence Art Edizioni

Non sarà facile farlo capire a quel lettore caratterialmente distratto che è in generale il lettore medio italiano. E però, Mario Conti, che era decisamente non un lettore medio ma un lettore fuori misura, avrebbe di certo còlto e compreso il significato profondo di questo libro altrettanto fuori misura, opera di piena e felice maturità dell’infaticabile autrice, dove ogni “dato” di genre circoscritto come di collegamento storico ed ambientale viene trasceso in virtù di un’ispirazione illuminata trascinante e globale, per cui risultano attendibili gli accostamenti più ambiziosi e più impegnativi, come quelli di Anna Panicali a Jabès e a Borges, e come quelli di Mario Specchio al dopo Cassola e al dopo Dubliners di Joyce, nel quadro di un’eccezionale sinossi lirico-epico-tragica ancora tutta da interpretare.

QUELL' ESTATE DEL ' 44

Questa raccolta, che comprende un ampia scelta di racconti, alcuni dei quali già editi in pubblicazioni antologiche, dà corpo a una voce forte e personale del nostro tempo.  
L'autrice intende tramandare al lettore l'esperienza, insieme gioiosa e dolorosa, di una generazione di uomini e donne vissuta a cavallo dell'ultima guerra, in un momento cruciale per la storia di molte famiglie, Sullo sfondo do grandi mutamenti storico-sociali si snodano le vicende di personaggi immaginari e di persone a lei care, unite talvolta dalla sofferenza ma anche dal piacere di ritrovarsi.

 

Fu in un giorno di piena estate, quell’estate del’ 44, come poi la ricordò per sempre: sfolgorante, quasi per una bellezza a lungo trattenuta; eppure, nello stesso tempo, timorosa, con il fascino un po’ acerbo delle cose vergini, nuove, come fosse la prima estate sulla terra.  
L’avvicendarsi delle stagioni, il trascorrere calmo del tempo sono cose infatti che appartengono alla normalità e quei lunghi anni erano stati invece una cosa buia, dove  
i giorni precipitavano gli uni sugli altri: un lungo tunnel dove era entrata bambina, per uscirne alle soglie di un’adolescenza  più che mai spigolosa e problematica.  
A volte aveva pensato che sarebbe rimasta così senza crescere, senza diventare donna: una specie di bambola che sarebbe invecchiata, prima della fase intermedia, come un bocciolo che si ripiega e appassisce, ancora  prima della fioritura.  
Ed ora invece quei vestiti faticosamente ricavati da quelli della mamma, oppure da un vecchio lenzuolo o dalla seta di un paracadute, le cominciavano a stare stretti e corti. Quando rimaneva sola in casa, andava in camera dei genitori e si guardava lungamente allo specchio, però con timidezza, come fosse una cosa proibita; sollevava un poco la veste e apparivano allora lunghe gambe ossute, dove però si cominciava ad intravedere una qualche, incerta morbidezza. E così il corpo, gracile per troppe privazioni, eppure misteriosamente pronto a sbocciare, come le fioriture ostacolate dal gelo che hanno poi una gran fretta  di schiudersi, quasi un’ urgenza di vita che niente può ostacolare.  
In mezzo alla camera c’era anche un palo che serviva a sostenere il soffitto, lesionato durante il bombardamento ed ogni volta che lo guardava, Laura provava uno smarrimento strano e risentiva il fragore delle esplosioni, lo scricchiolio del tetto, il fuoco della contraerea. E così quella stessa  solitudine che poco prima l’aveva spinta verso lo specchio, improvvisamente la intimoriva come se il pericolo non fosse ancora scomparso, ma soltanto nascosto, in agguato.  
Allora scendeva di corsa le scale e andava giù nella strada, per vedere se incontrava qualche amica, oppure entrava in chiesa.  
Andavano  sempre in chiesa, durante i bombardamenti, quando non ce la facevano a raggiungere il rifugio e non era vero quello che facevano vedere al cinema, con il prete e la gente che pregano e cantano in simili circostanze. Don Nicomede aveva paura, tutti avevano paura; se poi pregavano non lo sapeva, ma stavano tutti vicini e il suo babbo la stringeva forte: forse questo era come una preghiera.  
Se poi Dio ascoltava, anche questo non lo sapeva: Dio risponde in maniera che non si sente.  

“Forse i grandi lo capiscono” pensava “è per questo che sono più coraggiosi dei bambini.”  
Lei intanto aveva le mani gelate dalla paura e avrebbe avuto voglia di urlare e di scappare; ma gli altri stavano fermi e zitti.  
Allora alzava gli occhi verso suo padre e sua madre e subito ne incontrava lo sguardo: calmo, sicuro, quasi sorridente e la paura spariva.  
Forse era questa la risposta di Dio.  
Erano cose alle quali pensava sempre, quando era sola; allora andava alla finestra, quasi per accertarsi che tutto era passato.  
Come era la piazza prima?  

Si sforzava di ricordarlo, ma a quel tempo era troppo piccola e l’immagine, appena affiorata, si deformava irrimediabilmente. I soldati, ad esempio, gli pareva che ci fossero sempre stati: prima i tedeschi, ora gli americani; ci si era abituata.  
La grande luce dell’estate penetrava quella mattina dentro la sua camera, attraverso le persiane chiuse e c’era nella stanza un fresco riverbero, come quello che filtra attraverso il fogliame di un pergolato.  
I mattoni tirati a lucido con la cera rossa, mandavano un profumo familiare e confortevole; spiccava sul letto una coperta candida di bucato e sul cuscino era appoggiata una controfedera di trina, con in mezzo un cavallino rampante.  
In un angolo, sul lato destro della finestra, era situata la scrivania nuova che il falegname aveva consegnato da pochi giorni: sapeva ancora di colla e diffondeva nell’ambiente un leggero odore di pino.  
Dall’altra parte, uno scatolone con dentro i libri e sul fondo, ben nascosto, un rotolino di monete fermate con l’elastico e i primi numeri di un giornale nuovo dove si parlava d’amore.  
Laura , ad un certo momento, avvertì nella stanza una fragranza inconsueta, un odore più che un profumo: qualcosa di fresco e vitale, come può essere l’effluvio di una pianta aromatica, di una fioritura.  
Non come la brillantina di suo padre o la cipria della mamma: quella avvolta  nel boa di struzzo, disegnata sul coperchio .  
Quei profumi, infatti, le procuravano una sorta di leggera malinconia, quasi contenessero misteriosamente un ricordo, ma anche un presagio di sofferenza; mentre questo odore delicato ma  intenso che sembrava arrampicarsi sul muro con la prepotenza di un invito, di un richiamo, le metteva addosso una gran voglia di correre verso la finestra, spalancarla e rispondere. Invece si avvicinò piano al davanzale, con timore e spiò in basso, tra le persiane accostate: nella luce smagliante di quella mattina estiva, dove tutto sembrava nuovo e straordinario, un uomo molto giovane, quasi un ragazzo, si stava radendo nel sole, a torso nudo.  
Lo specchietto retrovisore della  Jeep, leggermente inclinato, le rimandò l’immagine di un volto fresco, quasi fanciullo, dove brillavano, nell’abbronzatura, due chiari occhi ridenti.  
I capelli biondi, cortissimi, splendevano nel sole: puliti e vitali come quelli di un bambino che sia appena uscito dal bagno.  
E quel biondo eccezionale, tendente al rossiccio, come la peluria, che ricopriva luminosa le braccia e il torace. Non aveva mai veduto un colore simile, anzi, a dire la verità, tutti gli uomini, fino a quel momento, le erano sembrati scuri, bruni, come avvolti dalla paura, dalla sofferenza, dalla rabbia. Ma questo cantava, ritmando il tempo con la punta del piede, con tutta la persona; aveva il fascino solare e indiscusso del vincitore, la sicurezza  di colui al quale è facile perdonare, quasi doveroso.  
E sorrideva  e profumava; era tutto chiaro e dorato, come la luce che inondava la piazza, avvolgeva il campanile, accendeva di riflessi il fogliame lucido dei tigli.  

“Ecco”  lei pensava “un uomo può anche ridere, profumare e cantare.”  
Lo aveva scoperto per la prima volta quella mattina e poi lo ricordò per sempre.  
Quando, piano chiuse le imposte fu quasi per catturare quell’immagine, prima che si scomponesse e svanisse e poterla, così, conservare intatta dentro di sé.  
In seguito ritornò ogni tanto nella sua città, ma la casa era abitata ora da una conoscente, una vecchia amica che l’ospitava volentieri nei suoi brevi soggiorni e che non sapeva darsi ragione di quella solitudine alla quale Laura, ancora così bella, sembrava essersi condannata.  

“Quanti dei nostri compagni di un tempo ti avrebbero voluta” le diceva spesso nei momenti di confidenza. “Qualcuno ti ha cercata molto, anche dopo; ma tu sparisti all’improvviso e non sapemmo nulla di te per tanto tempo.”  
Lei socchiudeva misteriosamente gli occhi, come per difendere un segreto e chiedeva esitante: “ Ti spiacerebbe farmi entrare per un attimo nella stanza che fu la mia cameretta di allora ? ” 
 
E poiché l’amica acconsentiva, quasi commossa, ma senza capire fino in fondo, senza sapere tutta la verità, Laura entrava come trasognata, apriva le imposte, dischiudeva leggermente le persiane.  
Ed era ancora estate: quell’estate del ’44, così piena di sole, con la piazza dorata nella gran luce e le chiome brillanti dei tigli.  
E il pavimento di mattoni rossi, l’odore  leggero e struggente della cera, la brillantina di suo padre e la cipria della mamma.  
E là fuori lui: così biondo e sicuro, così eternamente giovane, come la sua memoria bambina l’aveva conservato, togliendo posto ad ogni altro.  
Lui, come allora, il vincitore.

 

 

VERA FRANCI  RIGGIO

 

 

         Vera Franci Riggio vive e lavora a Firenze, ma è nata e cresciuta in Maremma. Lo scrittore Carlo Cassola, suo insegnante e attento consigliere, ha svolto un ruolo importante  nella sua maturazione letteraria e a lui, non a caso, è dedicato l'ultimo racconto di questa raccolta. In qualità di narratrice, saggista e  poetessa, Vera Franci Riggio ha ricevuto importanti riconoscimenti alcuni dei quali per racconti presenti in questo volume. Ricordiamo soltanto il premio speciale Casentino per la poesia e la narrativa (1990),il primo premio per la narrativa a Montelupo conferito da Antonio Tabucchi, primo premio Gronchi per la poesia, Fiorino  d'argento per la poesia al Premio Firenze (1992), Primo premio per la poesia Giorgio La Pira (1995), Primo  Marega (1996 1998) e infine nel 1998 Premio Speciale della Giuria per la poesia al Premio Firenze. Ha  al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali: "Bruno Rozzoli. Una presenza importante" (Firenze 1989);“Quando Andrea rideva”  ( Roma 1991; Empoli 1997) ; “Se il grano non muore” (Empoli1991); “Lettere per un altrove” (Empoli 1993); “Colloquio con l’ombra” ( Roma); “Come arca che naviga” ( Empoli 1995). Prosegue intensa l'attività di critico letterario. Tra i suoi interventi più recenti la partecipazione ai seguenti convegni e incontri: "Maria ai piedi della croce nella letteratura e nella musica" (1996), "Cecina nella narrativa di Cassola" (1997); "Il ritorno degli etruschi, scultori dell'enigma" (1998); "Viaggio nella memoria femminile del Novecento" (1999); "Il più lungo giorno: Dedicato alla vita di Dino Campana".

 

 

Il Consiglio Direttivo del Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”, dopo attento esame delle opere a concorso, ha assegnato il Premio Speciale “Mario Conti” alla scrittrice Vera Franci Riggio  per il volume: Quell’estate del ’44 e altri racconti” (Florence Art Edizioni- Firenze) con la seguente Motivazione:

 

 

 

 

 

 

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